01 August 2016

Michele Natale (1751 - 1799)



Michele (Arcangelo) Natale nacque a Casapulla (Caserta) il Lunedì 23 Agosto del 1751 (nell'omonimo palazzo sito all'odierna Via Vescovo Natale al n.° 18), figlio secondogenito di Alessandro de Natale e di Grazia Monte, sposatisi nel 1747 ed entrambi commercianti. 

Casapulla sorge sulla Via Appia (sin da epoca romana, Via dedita ai commerci, in quanto principale asse viario nord-sud) ed aveva, all'epoca, un'economia principalmente dedita alla coltivazione del cotone ed alla lavorazione del lino.

Battezzato il 24 Agosto 1751 (nella Chiesa parrocchiale, da Don Stefano Peccerillo) come Michele Arcangelo, il suo nome fu, poi, semplificato in Michele e nel cognome fu omessa la particella "de". Mariano d’Ayala lo descrive di “statura piuttosto alta, capelli spessi, innanzi tempo canuti, occhi neri e intelligenti, barba folta, naso profilato di bella forma, tendente un po' all’aquilino, viso rubicondo ma brunetto, ciera cogitabonda”.


Alla fine dell'Ottobre 1771 entrò nel Seminario di Capua. Qui ebbe quali maestri, per la Teologia Dommatico-scolastica Padre Vincenzo Labini (uno dei più dotti uomini dell’Ordine dei Teatini, poi vescovo di Malta nel 1780), per la Teologia Morale Cosimo Aulcino (parroco di S. Martino ad Iudaicam), per la Fisica e la Geometria Domenico Ferraiolo (parroco di S. Giovanni a Corte ed anch'egli coinvolto nelle vicende politiche del 1799), per la Logica e la Metafisica Paolo Pozzuoli (parroco di S. Antonio in Abbate, poi Canonico penitenziere, Rettore del Seminario e infine Vescovo di S. Agata dei Goti nel 1792), per la Retorica Giovanni Stellato (sacerdote di Casapulla, grecista e latinista di primo rango, poi canonico ed arcidiacono), Girolamo della Valle maestro dell’Umanità (sacerdote di S. Maria di Capua, sostituì il Pozzuoli, morto nel 1797 in proposta di Vescovo), Francesco Rossi maestro della Terza scuola, Alberto Fiordalise maestro della Quarta scuola, Giovanni Addario e Giuseppe Sorvillo maestri di Canto Gregoriano; alla direzione degli studi sopraintendeva l'Arcivescovo Michele Maria Capece Galeota. Ordinato sacerdote il 23 dicembre 1775, nel 1781 venne chiamato a ricoprire la carica di Cappellano presso il Principe di Monteleone (Vincenzo Pignatelli) in Napoli.

La permanenza nella Capitale del Regno e la conseguente frequentazione dei circoli intellettuali ivi numerosi ne favorì l'adesione alla dottrina teologica giansenista (come molti altri prelati dell'epoca) e la maturazione di profondi ideali liberali, nonché l'affiliazione (sicuramente almeno dal 1782) alla Massoneria presso l'aristocratica Loggia "La Vittoria" in Napoli composta di 111 membri (tra i quali Vittorio Alfieri, Baffi, Cirillo, Pagano, Caracciolo, Pacifico, Tommasi e Serra di Cassano) ed alle dipendenze del Rito Scozzese (Rito di chiara derivazione francese ed anti-inglese). 

Egli fu uomo altamente virtuoso e dotto, nonché noto bibliofilo.

Nell'ottobre del 1786 fu nominato cappellano della Cappellania del Presepe nella Chiesa parrocchiale di Casapulla.

Nel 1790, come raccomandato dal re Ferdinando IV, gli venne conferita una cappellania curata in Capua. Divenuto segretario del potentissimo arcivescovo e Cappellano Maggiore Mons. Agostino Gervasio (confessore della regina Maria Carolina), strinse amicizia con le più illustri e nobili famiglie di Napoli e venne nominato anche precettore straordinario dei figli del re che si trovassero nella reggia di Napoli od in quella di Caserta. Il 12 Settembre 1797 fu informato della sua nomina a Vescovo di Vico Equense (su proposta del re Ferdinando IV, della cui consorte era confessore); la stampa dell'epoca ("Gazzetta universale" n.° 67 del 22 Agosto 1797) riferisce come già in data 15 Agosto 1797 fosse stata pubblicata detta nomina; in ogni caso, la relativa formale bolla apostolica di Papa Pio VI fu inviata al Natale soltanto il 18 Dicembre 1797.

Con una missiva databile tra il 15 agosto 1797 ed il Dicembre 1797/Gennaio 1798, il Natale chiese al re (c.d. "Lettera al re") un prestito di 1.200 Ducati, al fine precipuo di poter provvedere alle spese connesse alla sua nomina a Vescovo ed al conseguente viaggio e soggiorno in Roma.

Il 1° gennaio 1798 egli fu immesso nel possesso della diocesi di Vico Equense, ma entrò per la prima volta nella Chiesa di Vico l’11 febbraio 1798.

Aderì prontamente e convintamente alla giacobina Repubblica Napoletana del 1799 (seguito da oltre 30 Vescovi!) e, già in data 21 Gennaio, ne salutò l'avvento con un solenne "Te Deum" officiato nella Cattedrale di Vico Equense gremita di fedeli (la Repubblica Napoletana ebbe, tuttavia, formale proclamazione il 23 Gennaio 1799).

Eletto Presidente della Municipalità di Vico Equense, il 26 Gennaio vi inneggiò alla Repubblica, nel Decurionato.

Fu nominato, altresì, Presidente della Giunta deputata al c.d. "Tesoro di San Gennaro" in Napoli.

Il 26 Maggio 1799, in occasione della festa di S. Elpidio, arringò il popolo di Casapulla sui gradini della Cappella di Santa Croce con discorsi di condanna della tirannide borbonica.

Con la caduta della Repubblica Napoletana (13 Giugno 1799), il Natale, in abito di contadino, si rifugiò dapprima in Caturano, poi in Curti (ove risiedeva la di lui sorella maggiore, Maria Giovanna), poi in Casapulla ed, infine, con i suoi amici rivoluzionari Alessandro d'Azzia, Francesco Perrini e Carlo Pellegrini, nella fortezza di Capua ove rimase sino al 28 Luglio, quando la città si arrese alle truppe monarchiche.

Nel frattempo, con Ordine Reale del 24 Luglio, i beni del Natale (tra gli altri, le somme da egli depositate presso il Banco di Napoli ed una casa di sua proprietà in Casapulla) erano stati confiscati, al pari dei beni degli altri cd. "rei di stato".

Il 29 Luglio i 4 “compromessi capuani” (il Natale, il d'Azzia, il Perrini ed il Pellegrini) uscirono da Capua, vestiti con uniformi francesi e, giunti a Napoli, si imbarcarono su di una nave inglese (che avrebbe dovuto condurli in Francia, a Toulon), ma il Vescovo Natale, pur travisato da Capitano francese, fu riconosciuto da marinai della sua diocesi ed identificato in base ad una cicatrice che egli aveva sul costato sin dal 1798 a seguito di un'infezione (antrace); arrestato (insieme agli altri 3 predetti repubblicani), fu condotto nel carcere della Vicaria di Napoli il 1° agosto e, poi, al Castello del Carmine sempre in Napoli.

Condannato a morte dalla Giunta di Stato (all'uopo riunita al Monastero di Monte Oliveto) nella notte tra il 17 ed il 18 Agosto, il mattino del 19 agosto fu ridotto allo stato laicale (arbitrariamente sconsacrato, in aperta violazione della legge canonica, da tre vescovi nella chiesa di San Tommaso d'Aquino) e nel pomeriggio del Martedì 20 Agosto, bendato, fu condotto a piedi (tra gli insulti della plebe) insieme ad altri 7 condannati (Giuliano Colonna, Gennaro Serra di Cassano, Nicola Pacifico, Vincenzo Lupo, Domenico Piatti, Antonio Piatti, Eleonora Pimentel de Fonseca) sino alla Piazza del Mercato, gremita di folla e circondata da numerose truppe di fanteria e da due reggimenti di cavalleria, per esservi ucciso.

Lì, le esecuzioni ebbero inizio secondo talune fonti alle ore 14:00 ovvero, secondo altre fonti, alle ore 19:00. Il Natale (subendo il previo scherno del suo carnefice) fu assassinato (per terzo o quarto) mediante impiccagione pubblica (la scure fu riservata, nella stessa giornata, ai soli nobili).

Secondo l'Abate F. Beccantini ("Storia di Pio VI", 1841) il Vescovo Natale fu impiccato con indosso l'abito vescovile.

Subito dopo l'assassinio del Natale e degli altri successivi Martiri (da ultima, la de Fonseca Pimentel) sopravvenne un forte acquazzone.

Il Natale fu il primo Vescovo ad essere impiccato in tutta la storia della Chiesa cattolica.

La salma del Natale fu collocata, unitamente a quelle di altri 26 Martiri, nei sacelli del pronao della Chiesa del Carmine Maggiore in Napoli (Chiesa ove la salma fu trasportata, dalla Congregazione dei Bianchi, dall'attigua Piazza Mercato ove il Natale fu assassinato).

Nel 1800, Papa Pio VII ebbe a scomunicare i giudici che, l'anno precedente, avevano condannato il Natale. Il Natale fu l'ultimo Vescovo della Diocesi di Vico Equense. In Vico Equense, nella sagrestia della ex Cattedrale dell'Annunziata, sono effigiati, in ovali di stucco, tutti i Vescovi che si sono susseguiti nella Diocesi; tuttavia, a seguito di un'oscena scelta della Chiesa Cattolica (di allora), nella sequenza, nell'ultimo spazio riservato al Vescovo Natale, non comparve mai il volto di quest'ultimo ma, incredibilmente, un mero angelo che, col dito indice posto innanzi alle labbra, invita al silenzio (in tal guisa, rappresentando la vergogna della Chiesa cattolica per lo scandalo suscitato dal proprio Vescovo e la conseguente dichiarata intenzione della stessa di destinare all'oblio ogni memoria del proprio Vescovo...!!!).


Soltanto nel 2011, accanto al predetto ovale, è stato finalmente collocato anche l'ovale con il ritratto del vescovo Natale, opera del 1930 di Francesco Barrella.

A Monsignor Natale fu attribuita (Migliaccio, Jannelli e De Felice) la paternità del cd. "Catechismo repubblicano per l'istruzione del popolo e la rovina de' tiranni".

Secondo il Battaglini, questo catechismo apparve, per la prima volta, nel 1796 con la dicitura: "Catechismo Repubblicano - Anno IV della Repubblica francese una e indivisibile, Milano-Mantova"; una seconda edizione, senza menzione ne di luogo ne di data, uscì probabilmente nel 1797 recando sul frontespizio la frase: "L'istruzione del popolo è la rovina dei tiranni"; ancora nel 1797 il Catechismo fu stampato a Venezia con l'indicazione "Italia - L'anno primo della libertà italiana".

Peraltro, in chiara conformità all'art.298 del "Progetto di Costituzione della Repubblica Napoletana" (articolo secondo il quale "in ogni giorno festivo i giovanetti maggiori di sette anni intervengono ne' luoghi dalla legge stabiliti a sentire la spiega del Catechismo Repubblicano"), il n.° 6 del "Il monitore napoletano" del 19 Febbraio 1799, riferiva che il "Comitato dell'Amministrazione interna" del "Governo provvisorio" della Repubblica Napoletana, in data 14 febbraio 1799, aveva a "disporre" la formazione di una "commissione di sei ecclesiastici ... i quali ... dovranno formare nel più breve termine un Catechismo. ...Questo comitato eligge voi Cittadino N per uno de' membri della commissione. ...Sono nominati Bernardo La Torre ... Aniello d'Eloise ... Michele Passaro ... Gennaro Cestari ... Marcello Scotto ... Vincenzo Troisi".

Orbene, se pur il Natale non risulta espressamente nominato tra i previsti sei ecclesiastici della dianzi evocata "commissione", è altresì documentata la previa elezione di un settimo componente extranumerario della stessa "commissione" (in guisa di primus inter pares), il "Cittadino N", verosimilmente anch'egli ecclesiastico.

A tal proposito, appare suggestivo identificare tale "Cittadino N" nel Vescovo Natale (verosimilmente, presente il 14 febbraio 1799, in Napoli, all'atto della nomina), identificato in modo palesemente criptato dal predetto "Comitato dell'Amministrazione interna" verosimilmente per impedire ancora possibili ritorsioni sul Natale o sulla sua famiglia. Pertanto, nel periodo compreso tra il 23 Gennaio ed il 13 Giugno 1799, Monsignor Michele Natale ebbe, con tutta probabilità, a promuovere e curare la 4^ edizione del "Catechismo Repubblicano" alla quale fece aggiungere una canzonetta patriottica in ottonari di Luigi Rossi (1769 - 1799) dal titolo “I dritti dell’uomo” e composta nel 1793; tale testo del Rossi (anch'egli Martire della Repubblica) venne poi musicato dal Cimarosa, così divenendo l'inno della Repubblica Napoletana.

Con Reale Dispaccio del 9 settembre 1799, si dispose (con la viltà propria delle tirannie) che le spese occorrenti all’esecuzione dei Martiri della Repubblica Napoletana fossero poste a carico dei medesimi; la confisca dei beni dei Martiri fu revocata (con conseguente restituzione dei beni) per effetto della Pace di Firenze del 28 marzo 1801.


Qui di seguito si riporta, fedelmente trascritta, la nota del 18 settembre 1799 con la quale, in esecuzione dell’ordine impartito dal re il 9 settembre 1799, si da conto delle spese sostenute per tutte le esecuzioni (8, tra le quali quella del Natale) effettuate il 20 agosto 1799, il tutto per una spesa complessiva di 146,49 Ducati: Notamento della spesa occorsa per l’esecuzione capitale di varii rei di stato gravitante sopra i loro fondi, giusta il Real dispaccio del 18 settembre 1799 del tenor seguente: avendo S. M. sovranamente risoluto con Reale dispaccio de’9 stante che le spese occorse per la giustizia de’ rei di Stato si fossero soddisfatte da V. E., le rimetto l’annessa relazione del fiscale Ambrogi colle due note di spese affinchè possa farne la sodisfazione in testa del sollecitatore fiscale D. Giuseppe Villamaina dal quale farà legalizzare detta nota.

Napoli, 18 Settembre 1799 Giuseppe de Guidobaldi - Al caval. D. Gaetano Ferrante amministratore destinato da S. M. ”.

“Nota di spese per l'esecuzione della sentenza di morte delle persone di Giuliano Colonna, Gennaro Cassano Serra, Michele Natale Vescovo di Vico Equense, Niccola Pacifico, Domenico ed Antonio Piatti, Vincenzo Lupo , ed Eleonora Fonzeca Pimentel.

Per 67 scorze di legname di pioppo servite per formare lo steccato, a grana 15 l’una 10,05

Per cinque rotoli di chiodi a grana 32 il rotolo 1,60

Per fattura di detto steccato 5,00

Pel tavolato del palco, consumo di legname, chiodi e fatiche fatte 7,00

Per una mannara di ferro, ed alcuni anelletti, e zeppe di ferro 18,00

Per il telaro della mannara 7,00

Al sollecitatore Fiscale per calessi 3,40

Al Caporuota Palmieri per calessi 1,10

A due sostituti del Capitan Maratea, ed al Portiere della ruota per gratificazione nell'essere andati in diversi luoghi ad eseguire le disposizioni date dal suddetto sollecitatore fiscale 1,20

Per capestri ed altre funi occorse 4,76

Per piombo 8,40

Per trasporto della mannaia situata sopra il telaro di legno, dal reclusorio nel Palazzo della Gran Corte, da quì nel mercato, e dal mercato nell'istesso palazzo della Gran Corte 1,60

Per una resima di carta occorsa per provare la mannara 0,38

Per perni per inchiodare la mannara nel palco 0,80

Per ammolatura di detta mannara, affilatura, ed imbrunitura della stessa 1,20

Pel Mastro di Giustizia 48,00

Al suo aiutante 24,00

Ad un altro aiutante bisognato per alzare la mannaia, ed assistere alla decapitazione de’ cennati Colonna e Cassano Serra 3,09

Totale duc. 146,49



OPERE e DOCUMENTI:
"Lettera al Re" (15 VIII - 31 XII 1797);
"Catechismo repubblicano per l'istruzione del popolo e la rovina de' tiranni" (I - VI 1799);
"Lettera del cittadino Michele Natale, vescovo di Vico Equense e Presidente di quella municipalità a' cittadini suoi diocesani" (Napoli, 30 aprile 1799).

"LETTERA AL RE"

S. R. M.

Signore

Michele Natale, eletto Vescovo di Vico Equense umilmente espone a V. M., che, bisognandogli di fare non poche opere, così per corredarsi de’ necessari abiti Vescovili, che per il viaggio in Roma, per Bolle, che ivi sono tassate a scudi seicento venti sei, e per il suo mantenimento in quella Capitale, non ha potuto trovare danaro a mutuo, perché non possiede fondi, e beni da ipotecare, supplica perciò la M. V. a degnarsi di permettergli, che possa il supplicante prendere a mutuo, e a censo, la somma di Ducati mille, e duecento, con assegnarsi da V. M. per ipoteca i fondi della Mensa Vescovile di Vico, e colla condizione di togliere il mutuo, o censo tra quel tempo, che determinerà V. M., a quella ragione, che vi potrà convenire, ad interesse scalare; E l’avrà a grazia singolarissima Michele Natale supplica come sopra”.


L'originale di questa lettera è conservato nel Museo Alifano in Piedimonte Matese (Caserta). La redazione di questo manoscritto, pur in mancanza di una datazione autografa, può farsi risalire, per gli espliciti riferimenti all'incarico vescovile in esso contenuti, ad un periodo verosimilmente non anteriore al 15 Agosto 1797 (data nella quale, a dire della stampa dell'epoca, il Natale fu nominato Vescovo) e non posteriore al 1° gennaio 1798 (data nella quale il Natale fu immesso nel possesso della Diocesi di Vico Equense).


"CATECHISMO REPUBBLICANO PER L'ISTRUZIONE DEL POPOLO E LA ROVINA DE' TIRANNI". (Edizione preparata dal Vescovo di Vico Equense, Monsignore Michele Natale):

D: Che cosa è il Popolo?

R. È l'unione di tutti i Cittadini, che compongono la società.

D: Quanti Popoli ci sono?

R. Il Popolo è uno, e abbraccia tutti gli uomini della terra: ma per la troppo grande estensione dei luoghi si trova separato in varie sezioni, che si limitano o dai gran monti, o dai mari, o dai fiumi, e che si chiamano nazioni.

D: Perché queste nazioni non hanno lo stesso Governo?

R. Perché i Governanti in vece di servire ai bisogni del Popolo, hanno servito al propri interessi, hanno oppressi i Popoli in diverse maniere, ed a queste diverse oppressioni hanno dato differenti nomi di Governo.

D: Perché il Popolo ha bisogno di un Governo?

R. Perché un uomo solo non può difendere se stesso, e la sua proprietà. E' dunque necessario il Governo, affinché mentre i Cittadini tranquilli travagliano per i loro vicendevoli bisogni, il Governo si occupi della comune salvezza.

D: Quale dunque esser dee l'oggetto del Governo?

R. Di provvedere alla pubblica sicurezza, e di far rispettare le proprietà di ciascuno individuo.

D: Chi deve stabilire il Governo?

R. Nessuno ha il diritto di governare, perché tutti gli uomini hanno gli stessi bisogni. Il Popolo solo dunque ha il diritto di scegliere quel Governo, che giudica necessario al suo benessere.

D: Qual è il Governo che conviene al Popolo?

R. Quello che gli procura il vantaggio della sicurezza personale, e delle sue proprietà, che gli conserva i suoi diritti, e mette gli altri nell'impotenza di opprimerlo, e di tiranneggiarlo.

D: Qual è il Governo che procura tutti questi vantaggi al Popolo?

R. Quello in cui il Popolo fa da se stesso i suoi interessi. Nessuno può aver tanta premura delle cose nostre, quanto noi medesimi. Chi è quel pazzo, che voglia affidare ad un altro gl'interessi della sua casa? Eppure gli uomini sono così sciocchi d'affidare gl'interessi della gran famiglia del Popolo tutto a persone, che non gli appartengono. Il Popolo quando si governa da se stesso non si lascia tassare il pane ad arbitrio di quelli, che si arricchiscono co' suoi travagli, non si lascia trattare come una bestia da soma dai suoi oppressori. In somma un Popolo quando si governa da se medesimo non può esser che felice.

D: Come si chiama il Governo, in cui il Popolo dipende da se medesimo?

R. Si chiama Governo Democratico.

D: Questo Governo è esso antico?

R. I primi figli di Adamo vivevano in famiglia. Il lor governo era adunque Democratico, ed Iddio li benediceva. Quando poi gli ambiziosi ruppero questa fratellanza, e distrussero il Governo Democratico le iniquità ricoprirono la terra. e Iddio l'inondò col diluvio. I figliuoli di Noè vissero altresì in famiglia; l'ambizione distrusse di nuovo il Governo Democratico; e le guerre, le stragi, la morte furono i risultati di questa nuova ambizione.

D: Il Popolo può far tutto da sé nel Governo Democratico?

R. Se il Popolo volesse esercitare tutti gli atti della sua sovranità, non avrebbe il tempo di provvedere ai suoi affari. Esso deve adunque conservare la sua sovranità, ed incaricare delle persone a vegliare ai suoi interessi. Esso elegge dunque a suo piacere i Rappresentanti senza distinzione di stato o di nascita.

D: Qual è il dovere dei Rappresentanti del Popolo?

R. Di far eseguire esattamente la Legge.

D: Cosa è la Legge?

R. E' la volontà sovrana del Popolo.

D: I Rappresentanti possono far la Legge?

R. La volontà essendo inalienabile, nessuno può far la Legge, eccetto il Popolo Sovrano. Esso consiglia le persone, che gli possono dar dei lumi nelle occorrenze, ma pronunzia liberamente e sovranamente la sua volontà.

D: I Rappresentanti a chi devono render conto della loro condotta?

R. Al Popolo. Esso deve giudicarli, quando escono dalle loro funzioni; e se il Popolo è stato servito male nella loro amministrazione, li punirà corrispondentemente al loro delitto.

D: Vi è niente di segreto nel Governo Democratico?

R. Tutte le operazioni' dei Governanti devono esser note al Popolo Sovrano, eccetto qualche misura particolare di sicurezza pubblica, che se gli deve far conoscere, quando il pericolo è cessato.

D: Come i Cittadini esercitano la loro sovranità nel Governo Democratico?

R. La esercitano nelle Assemblee primarie, allorché procedono all'elezione dei Rappresentanti; la esercitano facendo la Legge, la quale non è, come abbiamo detto, che l'espressione generale della loro volontà.

D: Una Città può dominare sulle altre Città o Paesi nel Governo Democratico?

R. Siccome un Uomo non può dominare su d un altro Uomo, così una Città non può comandare un'altra Città o Paese. Il Popolo è l'istesso dappertutto, e dappertutto ha i medesimi diritti. Ma le Città, ed i Paesi si devono insieme unire, e formare un Popolo solo, onde resistere ai comuni loro nemici.

D: I più recenti potenti non domineranno i più deboli in questo governo?

R. La Legge sola dominerà nel Governo Democratico. Gli uomini della Democrazia non sono così vili e timorosi, come quelli, che sono educati sotto un Governo Tirannico. Ciascuno può dire liberamente i suoi pensieri, ed ha tale energia da attaccare apertamente i suoi oppressori. Dunque non ci sono prepotenti dove ci sono uomini liberi.

D: Tutti dunque dovrebbero esser contenti del Governo Democratico?

R. Tutti quelli, che amano il buon ordine, la tranquillità, e la felicità del Popolo amano questo Governo. Ma quelli che amano di dominare sugli altri, che vogliono arricchirsi coi beni altrui, non sono certamente contenti del Governo Democratico.

D: I Nobili amano il Governo Democratico?

R. Tutti questi uomini, che vogliono distinguersi per la loro nascita, e per le loro ricchezze, e che vogliono primeggiare sugli altri, non sono amici dell'eguaglianza repubblicana. Ma quei nobili, che hanno bruciato i loro titoli, cioè le loro usurpazioni sul Popolo, che s'interessano pel pubblico bene, e si confondono cogli altri Cittadini, questi amano il governo popolare, e meritano di essere tanto più stimati quanto è maggiore il sacrífízio, che hanno fatto per lo bene comune.

D: Dunque i Nobili non sono più Nobili?

R. I Nobili nel Governo del Popolo sono solamente quelli, che si distinguono per le loro virtù patriottiche, cioè per i servizj che prestano al Popolo. I veri Nobili sono dunque gli Agricoltori, gli Artigiani, i Difensori della Patria, e non già gli oziosi, ed i prepotenti che ne sono i nemici.

D: Ed i Preti possono amare questo Governo?

R. Tutti quei Preti, che vivono secondo lo spirito dell'Evangelio, devono amarlo. Infatti la Religione è tanto più pura, quanto più si avvicina alla sua sorgente. Or i primi discepoli di Cristo avevano la perfetta comunione de' beni, cioè il Governo Democratico il più puro. I soli Preti adunque, che non possono amarlo, sono quelli, che vogliono dei ricchi benefizj; senza interessarsi del bene delle anime, che vogliono essere assediati da' servitori. e dominare sugli altri come altrettanti Tiranni contro lo spirito dell'Evangelio, il quale c'insegna, che Cristo disse ai suoi discepoli, che colui il quale vorrebbe dominare gli altri, sarebbe l'ultimo fra di loro.

D: Dunque la Democrazia non è contraria al Legge di Cristo?

R. No, anzi la Legge di Cristo è la base della Democrazia. La Religione Cristiana è fondata su due principj, cioè l'amor di Dio, e quello del Prossimo. La Democrazia toglie tutte le usurpazíoni, le oppressíoni, le violenze; essa fa riguardare tutti gli uomini come fratelli: essa propaga dunque mirabilmente l'amor del Prossimo. Or i fratelli si possono amar fra di loro senza un comune benefattore? Dunque la Democrazia è fondata sugli stessi principj della Religione Cristiana. Un buon Crístiano dev'esser dunque un buon Democratico.

D: Ma la Religione Cristiana comanda di ubbidire alle potestà quantunque discole?

R. Quando la religione parla di Podestà, intende delle legittime, elette dal Popolo, e non di quelle usurpate dai Tiranni, i quali perciò devono essere condannati, e puniti dalla Legge, come i più grandi assassini del Popolo.

D: Perché i Democratici prendono il titolo di Cittadini?

R. Il titolo di Cittadino è il solo titolo che conviene alla dignità di un uomo libero perché questo nome esprime, ch'esso è membro di un governo libero, ed è a parte della sovranità. Il titolo di Signore non può esser in bocca, che di uno schiavo, e non può esser preteso, che da un Tiranno.

D: Come il Cittadino esercita la sua sovranità?

R. La esercita nelle Assemblee primarie, dando il suo voto nell'elezione de' suoi Rappresentanti, e la esercita nella formazione della Legge.

D: Cosa è la libertà?

R. E' la facoltà che deve avere ognuno di fare, e di dire tutto ciò, che non è contrario alla Legge.

D: La libertà non consiste adunque nel fare tutto ciò, che si vuole?

R. Se ognuno potesse fare tutto ciò, che il suo capriccio gli detta, non ci sarebbe Governo Democratico, ma anarchia. Ognuno deve rispettar la Legge, e rispettandola fa ciò che vuole, perché esso stesso ha voluto la Legge.

D: Cosa è l'eguaglianza?

R. E' il diritto che hanno tutti i Cittadini di esser considerati senza alcuna distinzione o riguardo innanzi alla Legge, sia che premi, o che punisca.

D: Dunque non vi è alcuna distinzione nel Governo del Popolo?

R. In questo Governo non si domanda se uno è nobile, s'è civile, plebeo, ma si domanda solamente s'è virtuoso, se è buon padre di famiglia, se buon figlio, buon marito, buon amico, se ama la sua patria, se ha preso sempre le armi per difenderla da' suoi nemici, s'è giusto, e benefico verso degli altri. Queste qualità distinguono solamente gli uomini liberi.

D: Dunque i Repubblicani devono esser virtuosi?

R. La virtù è la base della Democrazia. I Re, ed i Tiranni hanno bisogno di vizi per render gli uomini imbecilli, e tenerli sempre in discordia; così hanno tutto il comodo di opprimerli e di tiranneggiarli. Ma nel Governo del Popolo tutti gli uomini devono esser virtuosi, e riuniti, per opporsi ai comuni nemici.

D: I colpevoli sono tutti egualmente puniti, senza distinzione di nascita, o di grado?

R. Noi abbiamo detto che non ci sarà altra distinzione, che la virtù. Dunque tutti saranno egualmente puniti. Non sarà più permesso ad un ricco d'insultare impunemente un povero, non ci saranno più prepotenti, che si faranno lecito di non pagare quelli che travagliano, e d'insultarli.

D: Tutti i Cittadini sono egualmente a parte degl'impieghi?

R. Tutti. Gl'impieghi non si daranno più ai nobili, ed ai danarosi. Il Popolo nomina i suoi Rappresentanti, ed esso nomina certamente quelle persone, che meritano la sua confidenza per i loro talenti, e per le loro virtù.

D: Ma i beni non saranno comuni nel Governo Democratico?

R. Eguaglianza dei beni sarebbe contraria alla vera eguaglianza, perché l'uomo attivo ed industrioso dovrebbe dividere il suo travaglio coll'ozioso, e coi dissipatore. Nel sistema dell'eguaglianza si devono rispettare le proprietà di ogni individuo, ma non si deve permettere che il ricco opprima il povero.



"LETTERA DEL CITTADINO MICHELE NATALE VESCOVO DI VICO EQUENSE, E PRESIDENTE DI QUELLA MUNICIPALITA' A' CITTADINI SUOI DIOCESANI":

Cittadini,

dopo quattro giorni di continua agitazione del mio Spirito, perturbato dalle notizie confuse, quì pervenute, della vostra Ribellione dalla Legge, finalmente jeri la sera seppi gli eccessi, e i gravi delitti da Voi commessi sotto la scorta di alcuni malcontenti, che con versuzia vi hanno ingannati, e vi hanno sedotti. Avete colle violenze e colle rapine rinnovate le scelleraggini dei Santafede. Di qual' obbrobio ed igniominia vi siete eternamente ricoperti! Il Vostro nome, che per l'innanzi era grato all'orecchio del Governo a cui io mille volte avea contestato il Vostro attaccamento alla Patria, ed alla Libertà, ridonataci da Dio, è ora divenuto odioso, ed esecrando ai buoni Repubblicani. Non vi resta, che la vergogna; ed io ne soffro tutto il peso; dappoiché dopo il vostro misfatto non oso di alzare il ciglio, cammino col volto dimesso e spesse fiate le lagrime tradiscono il mio rossore.

A me certamente non duole che mi abbiate depredata, e spogliata la casa; quel poco, che io avea, era vostro, e ne dovete essere ben persuasi, dapoiché avete ceduto a quale parcità mi era ridotto per sollevare i veri poveri del vostro Comune. Ve lo avete ripreso; il mio cuore, che ignora l'avarizia, e l'interesse, non ne soffre. Sono repubblicano, e so far uso della mediocrità, da cui non va mai disgiunta la tranquillità. Solamente il mio Spirito è penetrato dal dolore, mi si stringe il cuore, e non so rattener le lagrime; considerando, che Voi, rotto ogni vincolo di Religione, vi siete disonorati, e macchiati del peccato de' Ribelli, e de' Traditori della Patria; che calpestato il precetto della Carità Cristiana, abbiate attentato sulla vita, sulla libertà, e sulla proprietà de' Vostri degni fratelli, e concittadini Luca Rossano, e Ciro Starace, da voi stessi liberamente eletti Munìcipi; e che, trascinandoli con forza, e con violenza ad onta dei gemiti delle innocenti loro famiglie, gli abbiate dati in mano degl'Inglesi , nemici nostri, del genere umano, e della Religione. Oh Dio! Quale crudeltà, ed ingratitudine maggiore potea usarsi contro di tanto onorati Cittadini, li quali, quasi obbliando li loro affari domestici, dividevano meco le Cure per lo comodo, e vantaggio Vostro. Nei primi giorni, che l'invitta Armata Francese, fece scheggiare: Viva la libertà, riflettei, che Voi, come figli d'una Rivoluzione passiva, non essendo suscettibili di teoria, di massime, e di raziocinj atti a risvegliare in Voi la Libertà de' Vostri dritti, dovevate solamente sentire per ora il vantaggio fisico della Rigenerazione; e perciò co' Munìcipi miei fedeli Compagni ci applicammo a provvedervi d'un'annona di 900 cantaja di farina, di 60 cantaja di formaggio lungo di Sicilia, di cui abbondate a discretissimo prezzo, di 40 cantaja di paste. Accrescemmo fino a 25 once il vostro pane, che pria era cattivo, e del peso di 22 once. Eravamo tutt'occhi, perché da' pubblici venditori non foste defraudati del giusto peso, e misura. Vi minorammo la gabella della farina di grana 12 a tomolo. E vi amministravamo la giustizia, con carità, con disinteresse, e con imparzialità. Paragonate le opere de' Munìcipi co' trattamenti, che gli avete resi; e vi ravviserete non dissimili dai Giudei, che crocifissero il loro Rigeneratore.

Cittadini, il Vostro misfatto è grave innanzi il Tribunale di Dio, e della Patria. La giustizia dell'uno, e dell'altra presto, o tardi dovrà avere il suo effetto: conciosiacché la pena incalza il delitto. L'unico mezzo di prevenirla è la vera resipiscenza. Restituite subito in mano de' rispettivi Giudici di pace quelle armi, che, riservate contro i nemici della libertà , avete con sacrilega mano rivolte contro de' Vostri fratelli. Restituite subito alle proprie famiglie i beni, che colla violenza, e col saccheggio avete depredato nelle loro case pacifiche ; i loro figli innocenti non devono languire nell'indigenza, e nell'inopia per vostra colpa, la quale non vi sarà rimessa dalla Giustizia Divina, se non restituite le cose rubate. Giurate tutti nella pubblica Chiesa in mano de' Vostri Parrochi, che Voi sarete fedeli alla Repubblica nostra Madre, che per Divina disposizione è stata fondata; che non mai prenderete le armi contro la Patria, e che le fulminerete contro i nemici della medesima , Giurate una eterna guerra a' Tiranni, nemici dell'Umanità libera ; riconciliatevi colla Divinità appiedi de' suoi Altari, ed amate i Vostri Concittadini con quella carità , colla quale Gesù Cristo ama noi; ricordandovi sempre: Quel che per te non vuoi, per altri non fare.

Finalmente vi prevengo, che se non consegnerete subito le armi, e se non restituirete presto le cose rubate, io vi scomunicherò in nome dell'Eterno Padre, del Figliuolo, e dello Spirito Santo; e rimetterò le vostre anime sotto la potestà de' Demonj infernali.

Siate docili ad obbedire; siate saggi, e fedeli alla Legge per l'avvenire; perchè così non mi ridurrete al duro passo dell' anatema.

Napoli 11 fiorile (30 aprile) 1799. V. S.

Il cittadino Michele Natale Vescovo e Presidente della Municipalità di Vico Equense


- [Da questa lettera, pertanto, pare evincersi, tra l'altro, che, attorno al 26 Aprile 1799, i cittadini di Vico Equense ebbero a rivoltarsi contro la Repubblica, saccheggiando l'abitazione del Vescovo Natale]. -